Giulio Wilson “I ricordi”

Ci sono artisti che nella propria carriera inseguono i suoni e le storie contemporanee calvalcando le mode e il quotidiano, altri invece che vivono un proprio percorso e ci propongono musica fuori da ogni tempo ma con l’obiettivo di essere eterna.
Della seconda categoria fa parte sicuramente Giulio Wilson, cantautore toscano in attività discograficamente dal 2016 ma già con una personalità spiccata, pur essendo chiari i suoi punti di riferimento cantautorali.
Dopo il suo debutto “Soli nel midwest” prodotto da Enzo Iacchetti, Giulio ha intrapreso un percorso fatto di tanti concerti, collaborazioni, aggiudicandosi riconoscimenti importanti come il BMA Bologna Musica d’autore 2017, i premi Anacapri Bruno Lauzi, Bertoli, Targa Mei, Amnesty International “Voci per la Libertà” e si esibisce al concerto del Primo Maggio a Roma nel 2019.
Scrive per Max Gazzè, Ron, Laura Pausini, dopo l’ep “Futuro remoto” (2019) da noi trattato in una recente intervista
è appena uscito ​“Storie vere tra alberi e gatti”.
L’album è il frutto del lavoro che Giulio ha perseguito in due anni, il tempo che ci mette un buon vino toscano di quelli che produce lui stesso a maturare nelle botti di legno, un lavoro artigianale, pop e cantautorale.
Nel disco troviamo collaborazioni importanti, come quella con Roy Paci nell’ironica “Finale all’italiana”, quella con gli Inti-Illimani in “Vale la pena”, canzone sociale e di coscienza più che politica in sè, passando per i Musici di Guccini in “Romanzo epistolare” e Sandra Landi in “Ottavia”, storia vera di un femminicidio che pesca nella tradizione popolare.
Il titolo curioso dell’album lo rispecchia in pieno, questo è infatti un disco di storie, di quelle che non si raccontano più oggi o perlomeno non in questa maniera, pensate a “Fido” (il cane di Borgo San Lorenzo) o alla nostalgica “I gatti di Magritte”, alla storia di un gelataio che salvò tanti ebrei dai nazisti in Ungheria (“Budapest”).
L’album è chiuso dalla delicata “L’amore dei nostri difetti”, a confermarci l’equilibrio di un disco che non scade mai nè nel cantautorato autocompiaciuto nè nella retorica sociale, pur essendo musica d’autore a tutti gli effetti, ricordando al sottoscritto anche qualcosa di filoteatrale (vedi l’ultimo Simone Cristicchi).
Ad aprire e rappresentare l’album la DeGregoriana (ma è un complimento, intendiamoci) “I ricordi”, brano rappresentativo di un disco che ha come dimensione congeniale quella dei concerti dal vivo, soprattutto in teatro, sperando che presto si possano fare.