Il ritmo e la passione di Mannarino

“V” è il nuovo album del cantautore romano, un viaggio intenso tra suoni, parole evocative e flussi di coscienza.

E’ importante oggi più di ieri l’affermarsi di artisti che tirino dritto per la propria strada fregandosene delle logiche discografiche, delle furbizie accalappia numeri ma che in questo caso le cifre finiscono per farle e anche grosse, in maniera chiara e inequivocabile.
Mannarino è un artista più unico che raro, perchè riesce ad avere un grosso seguito senza cercarlo disperatamente, mettendo al centro la sua crescita, la ricerca sonora e un modo di scrivere, un immaginario che non rinuncia a riferimenti sociali, anzi, è l’essere umano (e non lui stesso) il protagonista delle canzoni incluse in tutti i suoi dischi,
“V” è per Mannarino l’inizio di un nuovo viaggio dove è il ritmo a veicolare parole a volte evocative a volte misteriose, che ci portano in luoghi a volte reali a volte immaginifici.
“V” è il simbolo che campeggia sulla copertina dell’album dove è raffigurata una donna guerriera nell’atto di mettersi (o togliersi?) il passamontagna, l’immagine è quella di una donna resistente, indigena, l’unica via di salvezza che ha il pianeta.
Il disco è quasi un mantra lungo 13 tracce, un luogo da esplorare, rivedere, da ascoltare e ripassare senza farsi troppe domande, lasciandosi trasportare dal ritmo e dai suoni.
Rispetto agli esordi di “Bar della Rabbia” (2009) è meno presente l’evidente connotazione romana, mancano le storie semplici e lineari che gli hanno fatto conquistare tanto pubblico anche tra i giovanissimi, c’è però ancora la società, ci siamo tutti noi, che siamo pronti a perderci in queste leggende conosciute o inventate.
Vengono alla mente i Mau Mau dagli anni ’90 e anche la parte più tribale del Cosmo di oggi, Mannarino in “Africa” ci dice “ballare è una mossa politica”, “Banca D New York” è un brano sociale che mischia la sua riconoscibile romanità e il canto blues da campi di cotone, registrata insieme ai Mexican Institute of Sound.
Passiamo per la trascinante “Ballabylonia” e ci facciamo trasportare da ritmi e suoni del Sud del mondo, solo in “Luna” il racconto si fa più inimo, oscuro,
Conclude il viaggio il brano “Paura”, cantautorale un po’ alla Bob Dylan un po’ alla Jovanotti, che usa le parole in maniera schietta e diretta, degna fine di un percorso che ti porta a voler ricominciare da capo.
La ricerca del suono è notevole, come si percepisce la voglia di comunicarci i concetti in maniera non scontata e didascalica, Mannarino può piacere o meno ma è sicuramente una mosca bianca in questi tempi cosi superficiali e disimpegnati, non solo nella musica, e di questo bisogna dargli assolutamente atto.
A lanciare l’album un brano che è quasi un inno: Cantarè.

Qui il video: